lunedì 12 gennaio 2015

Il contropippone: derby, terroristi, bimbeminkia e videogiochi

Parte, sul sito di BovaByte, un'allegra rubrichetta in risposta agli articoli più “meritevoli” apparsi sui “media tradizionali” (o sulle versioni on line dei medesimi), grazie a un'allegra rilettura da parte del Paolone.

Nel cosiddetto “derby d'Italia” Juve-Inter c’è un elemento, perdonateci la parola, «spettacolare». I ventidue giocatori si muovono come in una telecronaca, ma terribilmente reale. A tratti sembra di vivere una scena del videogioco PES (Pro Evolution Soccer) dove i protagonisti corrono, sudano, prendono a calci un pallone e hanno una grande mobilità. Se osservate i video noterete come i ventidue non si allontanino mai dalla loro palla.

Certo, è il mezzo per fare gol, ma anche lo strumento con il quale hanno fulminato l'avversario con un attacco a sorpresa. E non è per caso che dei simpatizzanti della Juve e dell'Inter abbiano modificato proprio le rose di PES per attirare aspiranti tifosi. In un frammento scagliano il pallone in porta mentre il portiere è steso a terra, inerme e senza possibilità di reagire. Come è avvenuto per un portiere nel film Shao-Lin Soccer, nonostante avesse le mani alzate in segno di resa. Ancora. L’equipaggiamento che indossano risponde alle esigenze operative: i pantaloncini corti per avere maggiore agilità sulle gambe, le scarpe colorate, la maglietta ufficiale, i numeri stampati sopra.


Il brano che precede non è stato scritto a caso, è, se ci permettete il termine, una “traslazione” di un articolo di Guido Olimpio, apparso sul sito del Corriere all'indomani del tragico attentato alla redazione di Charlie Hebdo, un'interessante analisi del blitz omicida, che osserva come i due terroristi si siano mossi in modo, per così dire, cinematografico, alla stregua di un videogioco. Non uno qualsiasi ovviamente, ma il solito GTA: un sempreverde, quando si tratta di tirare in ballo a sproposito i videogiochi, stigmatizzandone la violenza.

Stavolta, però, Olimpio si spinge un po' di più: non è un caso – scrive – se “dei simpatizzanti jihadisti abbiano creato proprio una versione di GTA per attirare aspiranti reclute”, infatti, “uccidono un agente che è riverso a terra, inerme e senza possibilità di reagire. Come è avvenuto per il poliziotto francese freddato nonostante avesse le mani alzate in segno di resa”. E “ancora. L’equipaggiamento che indossano risponde alle esigenze operative: i portacaricatori per avere un grande volume di fuoco, il passamontagna, i fucili d’assalto, i vestiti scuri”. Insomma, secondo Olimpio due feroci assassini si accanirebbero su vittime inermi, e si vestirebbero in modo del tutto funzionale al “lavoro” che devono svolgere, mica perché così son più comodi e sicuri di portare a termine la “missione”, bensì perché in GTA sarebbe possibile fare cose di questo tipo.

Un po' come se un idraulico indossasse una salopette con una comoda tascona per gli attrezzi, perché in Super Mario Bros il protagonista è stato disegnato così. O come se i muratori facessero collimare perfettamente i mattoni, senza lasciare feritoie nei muri, perché hanno giocato troppo a Tetris. O, perché no, come se i giocatori di serie A corressero, si passassero la palla e giocassero secondo schemi decisi in precedenza, perché anche con FIFA e PES si fa la stessa cosa.

Ma i videogiochi non sono certo gli unici ispiratori dei due sciagurati fratelli Cherif e Said Kouachi, ce n'è anche per il cinema e per la TV, ovviamente: “non è azzardato scorgere similitudini con certe forme di grande banditismo – prosegue Olimpio – ben raccontato da Hollywood (pensate alla battaglia di «Heat») e dallo stesso cinema francese. I gangster che usano arsenali da guerra per svaligiare banche o assaltare furgoni blindati”. Siano maledetti Michael Mann e Val Kilmer, insomma, e già che ci siamo pure Luc Besson, visto che di esplosioni e di assassini di celluloide se ne intende pure lui: senza i loro stupidi film, evidentemente, i malviventi avrebbero continuato ad assalire i furgoni blindati con una fionda e un temperino.

È sempre bello quando i videogiochi e i film vengono messi sullo stesso piano, riconoscendo il valore artistico di entrambi, e addirittura un privilegio quando si dice qualcosa che “sembra un videogioco”, ma sarebbe sempre opportuno distingue tra realtà e finzione, in particolare l'ordine di queste cose. Ci sono voluti più di vent'anni perché il soldatino stilizzato del coin op “Commando” diventasse un essere umano verosimile come i suoi “commilitoni” dell'ultimo “Call of Duty”. La trasformazione ha richiesto intere generazioni di processori, computer e console da gioco, oltre che l'affinamento di tecniche di programmazione e di disegno notevoli. Sforzi e investimenti economici finalizzati a rendere i giochi più simili alla realtà, e non certo a rendere quest'ultima più simile a un videogioco. Lo stesso si può dire anche per il cinema: gli effetti speciali di oggi sono molto più verosimili e realistici di un tempo. Un successo sotto ogni punto di vista, se non siamo più in grado di cogliere la differenza.

Viviamo, comunque, in un mondo “multimediale” dove anche i comuni malviventi, la criminalità organizzata e i terroristi islamici non disdegnano di farsi un “selfie” mentre compiono i loro crimini. È tutto parte di una strategia di comunicazione atta da una parte a seminare il panico nella gente comune, ribadendo la propria crudeltà (come i video con le decapitazioni degli ostaggi dei terroristi, o dei membri delle bande rivali da parte dei narcos), e dall'altra a inviare messaggi precisi al “nemico”, qualunque esso sia, oltre ovviamente a far proselitismo fra chi è affascinato da queste cose e, magari, vorrebbe egli stesso diventare un tagliagole. Forse è più facile immaginare un assassino mentre cerca di trasformare una scena di GTA in un reality show, ma alla fine la figura che fa è sempre la stessa della quindicenne oca con la boccuccia a pesce, mentre fa una posa stupidamente sexy davanti allo specchio.


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